Cultura, conflitto e cambiamento

"La voce appartiene ai poeti, agli attivisti, ai blogger, agli artisti, ai comici, alle star di soap, ai fotografi, agli scrittori, ai cantastorie, ai filosofi, a chi recita, a chi fa satira, a chi fa musica, ai registi, agli scultori, gli architetti, i graffitisti, gli artisti, i designer, coreografi e agli sceneggiatori, tutti impegnati in questo momento storico del cambiamento."

“La voce appartiene ai poeti, agli attivisti, ai blogger, agli artisti, ai comici, alle star di soap, ai fotografi, agli scrittori, ai cantastorie, ai filosofi, a chi recita, a chi fa satira, a chi fa musica, ai registi, agli scultori, gli architetti, i graffitisti, gli artisti, i designer, coreografi e agli sceneggiatori, tutti impegnati in questo momento storico del cambiamento.”

Mi è capitato di leggere, poco tempo fa, un brillante studio condotto dalla University of York in collaborazione con (e sussidiata dal) British Council, a proposito del ruolo della cultura nelle zone di conflitto. Poiché i temi della letteratura salvifica e dello storytelling mi appassionano, ho pensato di riprodurre qui una piccola parte dello studio, tradotta.

Quella che leggete qui a seguito è la traduzione della premessa allo studio Voices of the People: Culture, Conflict and Change in North Africa, premessa scritta da Bidisha, giornalista, broadcaster e attivista indiana.

“Stiamo vivendo un tempo di grande cambiamento e di enorme potenziale. In Medio Oriente e in Nord Africa, popolazioni per lo più giovani, ispirate da storie rivoluzionarie passate, avvenute nei loro stessi paesi e dall’impegno dei loro contemporanei in altri stati, stanno scendendo in piazza. Vogliono ciò che qualunque cittadino vuole: una società onesta, egualitaria, a sostegno del cittadino, responsabile e stabile.

Come l’oppressione e la disuguaglianza, anche i movimenti di resistenza assumono molte forme. La protesta non c’è stata solo in strada, ma anche nell’arte, supportata dalla rivoluzione digitale e dalla globalizzazione della cultura. Scrittori, artisti, musicisti, coreografi, registi, designer e blogger sono stati l’avanguardia del cambiamento, sia di persona che attraverso le proprie opere, con la convinzione che il futuro non debba essere come il passato.

La pubblicazione presente, così come la ricerca su cui si basa, offre un’istantanea di un momento particolare, in un tempo in rapida trasformazione. Investiga le molte possibilità per la futura relazione tra Inghiliterra e l’Africa. L’Inghilterra ha il potenziale per incrementare e rafforzare il legame tra cultura e cambiamento sociale e per prendere parte alla fioritura dell’arte nelle sue molteplici forme: come protesta non-violenta, come catalizzatore, come specchio del sociale o come spazio per esplorare liberamente concetti pericolosi o addirittura tabù, per esprimere le emozioni e per trovare soluzioni. Le rivoluzioni stanno dando una voce potente a persone che sono state spesso emarginate, ed è importante notare come molti di leader rivoluzionari, commentatori e artisti siano donne, un chiaro segno che anche coloro le cui voci sono state storicamente ignorate ora rifiutano di stare in silenzio, o di essere invisibili.

Ora l’Inghilterra ha un’opportunità unica di prendere parte al cambiamento, coadiuvarlo e renderlo possibile senza dover ricorrere alla dominazione o la dittatura. Possiamo offrire il nostro supporto a tutte le voci degli artisti, alla libertà di espressione, all’internazionalizzazione della cultura. Possiamo offrire una competenza pratica e contatti con organizzazioni di rilievo, per creare legami benefici tra artisti diversi e tra artisti e finanziatori, commissionanti, editori, curatori d’arte e personalità e organizzazioni di rilievo in tutto il mondo. In questo modo, l’Inghilterra può mettere il meglio di sé a servizio della creazione di una comunità globale più ricca, che oltre al patrocinio diplomatico sia supportata da condivisione della creatività, scambio di opportunità, amicizia tra artisti e mutua ispirazione nella cultura.

Tuttavia, è necessario agire con rapidità. Prima che il furore rivoluzionario si estingua o venga estinto, dobbiamo aiutare ad assicurare il raggiungimento di un cambiamento reale e persistente. Ciò vuol dire riconoscere i leader nel campo artistico, i rappresentanti del mondo culturale e gli innovatori nel campo creativo e condividere con loro supporto, risorse, opportunità, istituzioni e strutture. Dobbiamo lavorare insieme e fare in modo che l’azione conduca al cambiamento, la collaborazione internazionale a un’amicizia perpetua, la protesta all’emancipazione e l’arte e la creatività a libertà e uguaglianza.”

Bidisha

Qui il link all’articolo originale e allo studio completo: bit.ly/WrL7DI

Qui il blog di Bidisha: http://www.bidisha-online.blogspot.de/

Bidisha

Corsi di Traduzione estivi

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Uno dei grandi problemi per chi vuole fare il traduttore (o si interessa alla ricerca nel campo della traduzione) è spesso la difficoltà di reperire informazioni sulle iniziative in corso (nonostante sia fondamentale restare aggiornati e al passo coi tempi).

E così, ecco un post “veloce” per alcuni aggiornamenti su corsi e attività per traduttori nel periodo primaverile e estivo, con informazioni base e link ai corsi:

  • CorsoIntensive Course in Audiovisual Translation  
  • Lingue: Inglese > Italiano
    Inglese > Francese
    Inglese > Polacco
    Inglese > Spagnolo
  • Dove: Imperial College, Londra
  • Quando: 1 – 26 LUGLIO 2013
  • Requisiti d’accesso: essere un traduttore (libero professionista) o uno studente in traduzione
  • Proceduracurriculum vitae + application form alla responsabile del corso, Ms Soledad Zarate, per email. Si riceverà il test d’ingresso da compilare a casa e reinviare.
  • Costo: £ 625 – esclusi alloggio e pasti!
  • Borse di studio: no
  • Scadenza per l’iscrizione: 3 MAGGIO 2013
  • Link al sitohttp://bit.ly/8UsZK8
  • Corso: Use Your Language, Use or English
  • Lingue: Italiano > Inglese
    Francese > Inglese (2 percorsi)
    Tedesco > Inglese (2 percorsi)
    Cinese > Inglese
    Giapponese > Inglese
    Polacco > Inglese
    Portoghese > Inglese
    Russo > Inglese
    Spagnolo > Inglese
    Svedese > Inglese
  • Dove: Birbeck University, Londra
  • Quando: 22 – 26 LUGLIO 2013
  • Requisiti d’accesso: nessuno, ma devono formarsi classi di almeno 5 studenti
  • Procedura: modulo di iscrizione online alla pagina: https://www2.bbk.ac.uk/european/
  • Costo: Standard = £ 450 o Studente = £ 300, esclusi alloggio e pasti!
    Possibilità di prenotare una camera in una delle residenze per studenti = £ 210
    Possibilità di partecipare alla cena di apertura = £ 45
  • Borse di studio: sì, fino a £ 100 a copertura delle spese
  • Scadenza per l’iscrizione: 26 APRILE 2013
  • Link al sitohttp://bit.ly/AB88ne
  • Corso: The Translation Research Summer School
  • Lingue: Inglese
  • Dove: UCL, University College, Londra
    HK Baptist University, Hong Kong
  • Quando: Londra: 17 – 28 LUGLIO 2013
    Hong Kong: 22 LUGLIO – 2 AGOSTO 2013
  • Requisiti d’accesso: essere un ricercatore in Scienze della Traduzione / stare considerando di intraprendere un PhD
  • Procedura: Application form dal sito + curriculum vitae + proposta di ricerca in inglese, 1000 parole circa per email – pagina http://bit.ly/fwh11m
  • Costo: Londra = £ 680 per participanti auto-finanziati
    £ 975 per partecipanti supportati da università 

    Hong KongHK$8,400 per participanti auto-finanziati
    HK$12,000 per partecipanti supportati da università

  • Borse di studio: no
  • Scadenza per l’iscrizione: 15 MAGGIO 2013
  • Link al sitohttp://bit.ly/10w8fHe

Aggiungerò altri corsi, man mano che ne vengo a conoscenza. L’idea è di presentare informazioni riassuntive che possano essere fruite rapidamente (perché ormai chi ha tempo di mettersi a leggere e a cercare su millemila siti).
Chiunque voglia collaborare, è benvenuto, mi scriva o mi mandi un tweet!!

Maria  ??? 

The Fault in Our Stars – Review

I firmly believe that some books need to “sink in” first before you can write -or even talk about them. Which is why it took me so long to come up with this review.

Some books make you question yourself. They make you think about who you are and what you are doing, if you’re living your life to the fullest, if you are using the time that has been given to you at your best, if you’re just wasting it and will eventually regret it – the Shakespearean I’ve wasted time and now time wastes me. The Fault in Our Stars, by John Green, is, I believe, a rare and precious piece of art that wonderfully fosters this introspective action.

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17-years-old Hazel Grace Lancaster has been diagnosed with thyroid cancer, but with an impressive and long-settled satellite colony in my lungs. She is kept alive by a new drug she calls “The miracle” and is compelled to carry along a tank that delivers oxygen to her through a cannula in her nostrils, and which prevents water from clogging up her ill-functioning lungs.
Her mother thinks she’s depressed,  presumably because I rarely left the house, spent quite a lot of time in bed, read the same book over and over, ate infrequently, and devoted quite a bit of my abundant free time to thinking about death. Hazel doesn’t seem to agree. In fact, she points out, depression is a  side effect of dying. Not only is young Hazel fully aware of her imminent death, she is also at peace with it. Her only wish now is to minimize the amount of sufferings or deaths she is responsible for before she leaves this world.

Hazel may be ready to let go, but her parents aren’t. To make them happy, she agrees to put down her beloved book,  “An Imperial Affliction”,  and joins a weekly support group for cancer survivors. It’s here that she meets Augustus Waters, a witty, spirited young boy who survived osteosarcoma and fears oblivion, who has a way with words, who points out incorrect uses of literality, who compares her to a millennial Natalie Portman. Like ‘V for Vendetta’ Natalie Portman, and who chooses his behaviours based on their metaphorical resonances – as is, for example, his idea of keeping an unlit cigarette in his mouth.

They hit it off right away, and with Augustus Hazel embarks on a double journey: physical, in search of the Dutch author of her beloved book, and metaphysical, into her soul, slowly realising that it’s the closeness and companionship of Augustus, the humour, the thought-provoking conversations, the feeling of having found her perfect soul mate that keeps her alive.
Ultimately she will come to the acceptance, not of death, but of life, imperfect and unfair, sometimes even downright cruel, but that’s how it is – and how it should be. To put it like Augustus Waters: Grief does not change you, Hazel. It reveals you.

John Green managed to take a very serious topic and explore it with honesty and truthfulness without making it depressing or unbearable. (Those who have or have had a friend or relative with cancer know what I’m talking about).
The relationship between Hazel and Augustus is indeed what bears lightness and hope to the story. It urges us to re-examine our world and our priorities, to question the place Love has in our lives. Witty, cynical Hazel Grace is truly irresistible, and so is Augustus Waters, a modern Prince Charming any girl will absolutely, hopelessly fall in love with and will never forget.

The Fault in Our Stars is a compelling read and a deeply moving contemplation of life, love and loss in their purest forms. It willmost certainly leave you in tears, but will repay you with a different perspective and a more insightful outlook on life.

Maria
:]

Anno nuovo, font nuovo! Posterous & TypeKit for Dummies

Owl

Uno dei miei buoni propositi per il 2013 è quello di dare più attenzione a questo blog. 

Mi sono ripromessa di essere più costante nella scrittura, di curarne di più la grafica (soprattutto dal momento che tra qualche giorno comincerò a frequentare dei corsi di Web Mastering eGraphic Design) e infine, riuscire a scrivere un po’ di tutto quel che faccio e quel mi appassiona: l’esperienza da assistente di lingua italiana all’estero e l’insegnamento, la lettura, lerecensioni di libri e film (magari anche in inglese e in tedesco), le mie esperienze in terra straniera, e soprattutto riuscire a parlare del mestiere del traduttore da un punto di vista pratico.

E allora, per cominciare bene l’anno, vorrei parlare un po’ di Posterous, questa fantastica piattaforma creativa che io preferisco tanto a WordPress, anche se quest’ultimo sembra essere molto in voga negli ultimi tempi. 

Perché amo tanto Posterous? Beh, innanzitutto perché è molto semplice e intuitivo. L’ideale per chi è alle prime armi con il blogging e voglia (o debba) cimentarsi con questa attività. In quattro passi, l’account è creato e funzionante, ma anche bello da vedere. Ecco un altro punto di forza di Posterous: ha una grafica accattivante e leggera, e (quasi) completamente “customizable“, cioè si può modificare e personalizzare grazie ai Themes che vengono messi a disposizione di tutti gli utenti e che aumentano di numero e vengono implementati di giorno in giorno.  

Una delle funzioni attivate più di recente è la personalizzazione del font del proprio blog grazie alla semplicissima applicazione TypeKit, a cui si accede dal blog stesso. Basta cliccare “Advanced” dal menù per la scelta dei Themes e poi andare su Typekit.

Typekit_1

Il secondo passo da creare un account. Bisogna registrarsi sul sito Typekit, cliccando su “Sign up for Typekit”

Typekit2

e per questo sarà necessario possedere un account Adobe (quasi tutti ne hanno uno), dopodiché si avrà accesso a un numero enorme di fonts, divisi per qualità, proprietà grafica e anche per supporto linguistico. Insomma, c’è solo l’imbarazzo della scelta. E per chi volesse cimentarsi con qualcosa di un po’ più complicato e personalizzare ancora di più il proprio blog, c’è perfino la possibilità di crearsi da soli il proprio font personale.

Io non mi sono ancora spinta a tanto, ma ho rifatto il look al mio blog (e i font che uso sono Lobster e Kaffeesatz

Insomma, vi ho convinti? Per chi non fosse ancora a passare a Posterous, aggiungo che da poco Posterous è stato acquisito da Twitter – e Mr Jack Dorsey è uno che sa quello che fa. 

Buon blogging!

Maria  ???

VHS – Update 2

L’acronimo sta per Volkshochschule, l’università libera a cui possono iscriversi tutti, anche gli arzilli cinquantenni tedeschi che, a quanto pare, sono gli abitanti più attivi in questo posto.

Mi reco alla VHS al termine di una lunga giornata passata nei corridoi dell’università di Pforzheim il che risveglia ricordi troppo familiari di giornate universitarie romane. 
Dopo due ore seduta per terra nel dipartimento di lingue, più tre quarti d’ora di conversazione e colloquio interamente in tedesco, il capo del dipartimento dell’università decide che non può ammettermi a frequentare alcun corso di lingua dell’università di Pforzheim causa mancanza di un corso per il livello C1.
Porgendomi le più sentite scuse e ribadendomi che l’università di Pforzheim offre corsi solo fino al livello B1/B2, la gentile signora mi scrive su un pezzo di carta l’indirizzo della VHS e un nome, Frau K. Schmidt, e mi rassicura che mi troverò benissimo nella mia nuova scuola, mentre io penso che adesso la possibilità di incontrare giovani della mia età si è ridotta allo zero per cento e non avrò mai una vita sociale.

Arrivata alla VHS, sono accolta da una donna sulla cinquantina, la quale mi chiede i miei dati in maniera sbrigativa e mi propina l’ennesimo test di conoscenza del tedesco. Il livello è sempre quello, C1, e un corso c’è, ma un corso di sette lezioni durante il mese di dicembre. Disperata, decido di prenotarlo comunque, ma la gentile signora mi consiglia prima di farmi un giro, guardarmi bene intorno e familiarizzarmi con la struttura.

Con un sentore di paura, seguo il consiglio e vado a seguire qualche lezione di prova…. Oh mio dio. Sono ovunque. Affollano corsi di yoga e zumba, assediano le classi di tai-chi e di difesa personale (ma poi per quale motivo?), invadono la piscina, l’unica nel centro città, ogni martedì pomeriggio e ogni venerdì mattina con le loro membra cadenti e le cuffiette ROSA a fiorellini. Vecchi. L’età media si aggira sui sessant’anni.

Vhs

Vederli così, insieme, così tanti, dappertutto è puro trauma. Mi rendo conto che, se mi iscrivo qui, non solo non avrò mai una vita sociale, ma probabilmente cominceranno anche a venirmi i primi sintomi d’invecchiamento precoce e un’artrosi galoppante.

No, non posso farmi questo. Deve esserci un altro modo.

Am Rand des Schwarzwalds – Update 1

Da quando ho saputo di aver vinto il posto da assistente, ho sperato e pregato che la mia destinazione fosse uno scenario da fiaba tedesco tipo Heidelberg o Konstanz,o una città multi-kulti e metropolitana come Stoccarda o Karlsruhe, e ho atteso trepidante per settimane il Ministero. Una bella mattina di luglio, mentre sono a Londra a farmi i fatti miei, un’impiegata acidella del Ministero dell’Istruzione -Settore Programmi Internazionali mi comunica con voce stridula che la mia destinazione è la “simpatica cittadina di Pforzheim”, per citare le sue esatte parole. Dopodiché mi saluta e mi attacca il telefono in faccia. Insomma, destinazione Pforzheim.

Pforzheim.

Lo ripeto, nella mia testa, ripeto il nome come un mantra. Pforzheim. Dovrebbe dirmi qualcosa? Dovrebbe suonare un campanello nella mia testa? Non credo di aver mai sentito di questa città. Evidentemente ai futuri assistenti succede anche questo, di essere mandati in un posto tutt’altro che conosciuto (scoprirò poi che questa, più che un’eccezione, è norma e regola del programma).

Ai margini della Schwarzwald, la foresta nera, centoventimila abitanti (anche se ho i miei dubbi), Pforzheim potrebbe essere il classico gioiellino bavarese… o anche no. Perché Pforzheim è stata completamente distrutta e rasa al suolo da un bombardamento nel 1945 (avvenuto, spaventosamente, in 22 minuti netti). E allora niente tipiche casette tedesche in legno-di-quercia-e-tetto spiovente-coi-gerani-sul-balcone, niente yodel e Lederhosen, solo una brutta accozzaglia di appartamenti grigi e privi d’immaginazione edilizia stile anni Settanta, e un campanile appena guardabile.

La parola disperazione non comincia nemmeno a descrivere la mia condizione mentale a qualche giorno dall’arrivo. Una profonda, immensa tristezza, e la sensazione di essermi cacciata in un tremendo impiccio, e di non poterne uscire, mi attanagliano. Ma decido di non darmi subito per vinta e mi metto alla ricerca di un corso di lingua e di un lavoro.

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News, news, news! Si va in Germania!

Anche se questo blog è nato per parlare (scrivere) di arte e di letteratura, di libri e di autori affascinanti e degni di essere letti e (soprattutto) tradotti, ho deciso che almeno una volta al mese darò spazio a un discorso del tutto diverso. Questo perché sto vivendo un’esperienza “unica”, un anno all’estero come assistente di lingua italiana all’estero in un liceo tedesco.

Allora, da dove cominciare? Forse col dire che non ho mai voluto diventare insegnante. E non sto parlando di un semplice “Non l’ho mai preso in considerazione”, ma di un rifiuto viscerale, un imperativo categorico: io non sarei mai diventata un’insegnante, mi sono sempre detta. Io quella vita non la farò mai. In un liceo, poi. 

Quindi, quando poi ho partecipato al bando del MIUR, è stato solo per un gioco – e forse, ahimè, per mera necessità. I traduttori -o aspiranti tali- italiani mi capiranno.

Così non è che sprizzassi gioia da tutti i pori, quando sono rientrata in classifica. Ma si può mail rifiutare, sapendo che in molti aspiravano al posto, e quando non hai alternative migliori? Maccertochennò.
Allora mi sono detta, okay, questo lavoro non mi piace, e probabilmente non riuscirò a farlo bene, ma è pur sempre la Germania, ed è pur sempre il Baden-Wurttemberg; è un’occasione per migliorare il tedesco e trovarmi un Praktikum (tirocinio con contratto e pagato) o addirittura, un nuovo lavoro.

E così ho fatto la valigia e sono partita.

Tradurre la Letteratura: Margaret Atwood

Eventi recenti mi hanno portata a rivedere una mia “vecchia” traduzione, un libro di cui mi sono occupata per la mia tesi di laurea e che mi ha affascinata da quando ne ho scoperto l’esistenza.

Good Bones, questo il titolo, è una collezione variegata di short stories, firmata dalla celeberrima scrittrice e poetessa canadese femminista Margaret Atwood

Di Atwood sono celebri i romanzi, dal primo (e mio preferito) La donna da mangiare (1969), a Il racconto dell’ancella (1985) poi divenuto film, a L’assassino cieco (2000) vincitore del Booker Prize nello stesso anno della pubblicazione, al più recente In Other Worlds: SF and the Human Imagination (2011). Ma non i racconti. I quali, invece, meriterebbero grande attenzione, proprio per lo sforzo intellettuale che richiedono allo scrittore, quello di condensare in poche pagine uno spaccato di vita vissuta, una favola, una fiction, un’esperienza sensoriale. Insomma, lo sforzo di creare microcosmi.

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Tanto, tantissimo si potrebbe dire su questo libro, raffinato e curato nei minimi dettagli, dalla scelta della forma short story, alla costruzione di una “storia nelle storie”, alla modalità di narrazione, alla scelta dei personaggi. Ma io sono sempre dell’opinione che il primo contatto con un libro debba essere un’esperienza “empatica”, come diceva Samuel T. Coleridge quando parlava della Suspension of Disbelief, una sorta di volontaria sospensione del dubbio in cui il lettore è solo con il libro, vi è completamente immerso, fuori dalla realtà, e ne gode appieno.

Ecco perciò un assaggio -è proprio il caso di dirlo- da una delle short stories di Atwood più divertenti (beh, almeno per noi donne!) Con testo a fronte, naturalmente!

Avviso ai naviganti: in traduzione sono state operate delle scelte volte a sottolineare aspetti particolari del testo…ma potrei stare qui a commentare technicalities per ore, quindi ve lo risparmio! Chi fosse interessato si metta in contatto con me, è sempre bello discuterne insieme 😉

 

Making a Man

This month we’ll take a break from crocheted string bikinis and Leftovers Réchaufées to give our readers some tips on how to create, in their very own kitchens and rumpus rooms, an item that is both practical and decorative. It’s nice to have one of these around the house, either out on the lawn looking busy,or propped in a chair, prone or erect. Choose the coverings to match the drapes! 

When worn out, they can be re-covered and used as doorstops.

 

1. Traditional Method

 

Take some dust of the ground. Form. Breathe into the nostrils the breath of life. Simple, but effective!

(Please note that although men are made of dust, women are made of ribs. Remember that at your next Texas-style barbecue!)

Should you give your man a belly button, or not? Authorities on the traditional method disagree. We ourselves like to include one, as we think it adds a finishing touch. Use your thumb.

 

[…]

4. Marzipan Method

We’ve often thought men would be easier to control if they were smaller. Well,here’s a tiny rascal you can hold in the palm of your hand!

Usually found on wedding cakes, these formally dressed mini-grooms require painstaking attention to detail, but it’s worth the time you spend with the paintbrush and the food colouring to see the finished result smiling at you with deceptive blandness from the frothy topmost layer of Seven-Minute Boiled Icing!

We much regret the modern custom of substituting plastic for the original sugary confection. For one thing, there is absolutely no payoff when you feel the urge–as we do!–to pop one of these dapper devils into your mouth and suck off his clothes.

 

—-

 

Come si fa un uomo

Questo mese faremo una pausa dai bikini all’uncinetto e dagli “Avanzi da Gourmet” per dare alle nostre lettrici dei consigli su come creare, nella propria cucina o nella stanza degli hobby, un oggetto pratico e di arredamento. È bello averne uno in giro per casa, che sia fuori in giardino con l’aria indaffarata, o appoggiato su una sedia, prono o eretto. Optate per un rivestimento coordinato alle tende del salotto!

Quando sono vecchi e logori, si possono rifoderare e usare come fermaporta.

 

1. Metodo tradizionale

Plasmate con polvere dal suolo e soffiate nelle narici un alito di vita. Semplice ma efficace!

(Notate bene che se gli uomini sono fatti di polvere, le donne sono fatte di costole. Non dimenticatelo al prossimo barbecue in stile texano!)

Dovreste mettere un ombelico al vostro uomo, oppure no? C’è discordanza di opinioni tra gli esperti del metodo tradizionale Noi personalmente preferiamo aggiungerne uno come tocco finale. Usate il pollice.

[…]

4. Metodo marzapane

Spesso si pensa che gli uomini sarebbero più facili da controllare se fossero più piccoli. Bene, ecco allora un piccolo mascalzone da tenere nel palmo della mano!

Di solito in cima alle torte nuziali, questi sposini ben vestiti richiedono una minuziosa attenzione al dettaglio, ma sarete ripagate del tempo speso con pennello e colorante per dolci quando vedrete il risultato finale che vi sorride con mitezza ingannevole dall’ultimo strato spumoso della glassa reale.

Noi guardiamo con molto rammarico alla consuetudine moderna di sostituire la plastica alla confezione di zucchero. Tanto per cominciare, non c’è niente di meglio quando sentite il desiderio, proprio come noi, di infilarvi in bocca uno di questi demonietti azzimati e succhiargli via i vestiti.

 

 

Snollygoster: sul linguaggio, la politica e la traduzione

 

Ho da poco fatto la scoperta di un sito web meraviglioso: TED : Ideas Worth Spreading, letteralmente, “idee che vale la pena diffondere”.

TED (acronimo per Technology, Entertainment, Design) è un’associazione di matrice americanache promuove conferenze sui temi della tecnologia, intrattenimento, design, business, scienza e attualità. TED organizza anche delle conferenze in tutto il mondo, e sono sempre un gran successo.

Ma quel che rende ancor più interessante questo sito è il fatto che i talks, le conferenze, vengano tradotti, sottotitolati e revisionati da un team di traduttori assolutamente volontari e dedicati. Una grande opportunità e un’occasione di allenamento per chiunque abbia un po’ di tempo libero. 
Così mi sono trovata a tradurre questo talk dell’etimologo Mark Forsyth sul linguaggio della politica e sui politici che usano il linguaggio come arma per tras-formare la realtà.

Mark Forsyth apre il suo talk citando la parola ‘snollygoster‘, termine abbastanza desueto ma efficace (e attuale più che mai) per descrivere un politico un po’ “traballante”, che cambia partito a seconda di come tira il vento pur di restare a galla. 
Forsyth cita la definizione originale del termine, coniato negli anni ’60 da un editore del Time Magazine:

A Georgia editor kindly explains that ‘a snollygoster is a fellow who wants office, regardless of party, platform or principles, and who, whenever he wins, gets there by the sheer force of monumental talknophical assumnacy’

Il problema, che Forsyth ben individua, e che si ripropone per chi traduce, è il sintagma nominale “talknophical assumnancy“, due termini che non esistono nel linguaggio moderno e che fatica egli stesso a spiegare ai propri ascoltatori. Come approcciarsi allora alla traduzione di queste parole?

Innanzitutto, il contesto: sappiamo che si fa riferimento a un politico voltagabbana, che farebbe qualsiasi cosa pur di arrivare in cima. Informazioni aggiuntive: dal blog di Forsyth abbiamo l’idea che ‘talknophical’ abbia a che fare con le parole, e anche con qualcosa di filosofico. ‘Assumnancy’ invece sembra una derivazione della parola ‘assumption’.

Per ‘assumnancy’ mi sono perciò orientata sul significato di ‘assumption’: presunzione,arroganza
supponenza.

Per talknophical, invece, ho pensato di insistere sulla componente “talk”, con una connotazione frivola: ho passato in rassegna sproloquio, sermone, tiritera, discorso ampolloso, tirata, comizio, lungaggini chiacchiericcio.  Poi mi è venuta in mente la definizione di tautologia: argomentazione che nelle sue conclusioni ripete ciò che era già implicito nella premessa, o frase che nel predicato ripete inutilmente ciò che è indicato già nel soggetto.

Purtroppo si deve rinunciare al “mistero” implicito nella parola “talknophical,” che fa dire a Forsyth “I have no idea what it means…something to do with words, I suppose.” Ma d’altronde è questo che ha fatto dire ad Umberto Eco, la traduzione nasce nel segno della perdita.

Idee? suggerimenti?

 
E comunque…buone vacanze 😉 

 

Gore Vidal, in Memoir

Oggi è purtroppo scomparso Gore Vidal, romanziere americano scrittore del controverso e affascinante The City and the Pillar (1948), uscito in Italia con il titolo La colonna di sale nella traduzione eccellente di Alessandra Osti (tanto per capirci, la mente dietro alcuni titoli della collezione “Ottocento” di Repubblica, tra cui L’isola del tesoro di Stevens e David Copperfield).

Controverso perché La colonna di sale affronta un tema scomodo, immorale, addirittura tabù, per l’America degli anni Cinquanta, l’omosessualità. Affascinante perché lo fa in modo del tutto disinvolto e con il chiaro intento di dissociarsi dall’immagine stereotipata che degli omosessuali veniva perpetrata in quegli anni.

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“Il loro rapporto sembrava promettente, con infinite possibilità di catastrofe” è la celebre frase con cui Vidal si riferisce all’amore segreto tra il protagonista Jim Willard, timido rampollo di buona famiglia e promessa sportiva, e il suo miglior amico, Bob Ford. La colonna del titolo fa riferimento a una citazione biblica “La moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale”, alludendo allo stato di inamovibilità in cui Jim si trova.

Vidal era solo un novellino quando scrisse il libro: 22 anni e due pubblicazioni alle spalle. Il New York Times si rifiutò non solo di recensire il libro, ma proprio di pubblicarlo. Life Magazine disse che Vidal aveva “gayzzato” la nazione. Ma il André Gide lo adorava. E il più grande, Thomas Mann, lo descrisse, nei suoi appunti, un’opera “nobile”.

Ed è quel qualcosa di personale che rende grande questo libro. E’ impossibile non accorgersene, si sente dietro ogni pagina. E’ l’amore per Jimmie Trimble, JT, il ragazzo che Vidal amò intensamente e poi perse nel corso della seconda guerra mondiale, “la mia metà”. 

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 Non c’è dubbio che le vicende raccontate interessino Vidal in prima persona. Eppure il suo libro non è un’autobiografia. Tanto per cominciare, Vidal come ho detto non era famoso, e questa è la prima condizione esistenziale della biografia. Inoltre, la sua non era una storia che il mondo voleva ascoltare, anzi, il contrario. Piuttosto, si potrebbe parlare di memoir.

“A memoir is how one remembers one’s own life, while an authobiography is history, requiring research, dates, facts double-checked”. “Il memoir è il ricordo che uno ha della propria vita, mentre l’autobiografia è storia, che richiede ricerca, date e fatti sicuri.”, ha detto Vidal nel suo libro di memorie Palimpsest (1994).

Nel memoir il focus si sposta dalla verità dei fatti a quella delle emozioni, dalla realtà all’autenticità, a ciò che la mente del narratore costruisce attorno al ricordo, le connessioni chestabilisce, cosa ricorda e in che modo.

Il soggetto narrante del memoir non riveste alcun ruolo di rilievo all’interno della società di cui fa parte, anzi è confinato ai margini di essa. Scrivere la propria storia, una vita non eccellente e dunque apparentemente non interessante, è un modo di mettere in atto una resistenza alla società oppressiva, per rinegoziare la propria posizione all’interno di essa.
Non solo: chi scrive è parte di una collettività marginalizzata, e attraverso l’atto della scrittura il soggetto individuale diviene plurale, rientra in un progetto di legittimazione di questa collettività di cui fa parte ll’interno della società, e di una democratizzazione della società attraverso la letteratura.

D’altronde, come ha detto Brenda Daly, “Who has the authority to claim to speak “the truth” – or even “a truth”?”

Intervista a Gore Vidal – The Independent