“I personaggi e le vicende del romanzo sono inventati, ma a partire dai ricordi e dai racconti della mia terra.”
Dopo aver letto questo bel post su Bolcafé, ho ripensato a uno dei libri più affascinanti che io abbia mai letto, il primo di quest’autrice in effetti, e allora non potevo che parlarne e consigliarlo a chi ha un po’ di tempo libero durante i mesi estivi.
L’autrice, Anilda Ibrahimi è nata nel 1972 in Albania, a Valona, e ha studiato Letteratura all’università di Tirana. Si è poi trasferita in Italia, dove ha incontrato l’amore e vive oggi con la sua famiglia.
Il suo primo libro, quello da cui è tratta la citazione a inizio post, si chiama appunto Rosso come una sposa, va assolutamente letto per almeno quattro buone ragioni. Numero Uno: è scritto interamente in italiano, e sorprendentemente bene per una persona che ha vissuto nel nostro paese solo dal 1994. Due: è’ un romanzo storico, che sorvola un secolo di storia albanese, da re Zog I a Vittorio Emanuele III all’avvento del comunismo. Tre: è una saga generazionale e le vicende personali delle protagoniste (dalla nonna alla nipote) vanno di pari passo col passare del tempo. Il che ci porta a quattro: è un romanzo scritto da una donna e che parla di donne.
Rosso come una sposa racconta la storia di Saba, costretta quindicenne a sposare il burbero e molto più anziano Omer per saldare un debito di sangue per sua famiglia. Non solo: Saba deve portare sulle sue spalle il peso della consapevolezza di essere una “seconda scelta” per Omer, perdutamente innamorato di sua sorella maggiore, a cui purtroppo non può essere unito.
Saba dovrà dunque cominciare a muovere i primi passi come donna e moglie, un cammino ostacolato dalla famiglia di lui e dalla mancanza di eredi maschi, e reso ancor più travagliato dalle vicende politiche che sconvolgono il paese e le vite di tutti.
La storia di Saba è la storia portante del libro, ma col passare degli anni altre due generazioni succederanno a quella di Saba e Omer. La seconda, quella di Klementina, in antitesi con la precedente, e la terza, quella di Dora, finalmente in accordo. Sarà infatti Dora che riuscirà a fare tesoro del passato, riunendo in sé i mondi di nonna Saba e mamma Klementina, e così a chiudere il cerchio e l’epopea generazionale.
Se poi a questo si aggiunge l’altra radice prettamente politica del romanzo, non è difficile vedere il nesso con due grandi classici letterari, quali le avventure di Shehrazad, la politic damsel (come la definiva Edgar Allan Poe) de Le Mille e una notte, da un lato, e La casa degli Spiriti di Isabel Allende dall’altro, grandiosa epopea familiare che racconta il Cile dagli anni Venti al 1973.
Però, forse, quel che più resta al lettore di questo libro è la sua natura di Story-telling, letteralmente il “raccontare una storia” tipico del genere letterario del memoir, una sorta di autobiografia romanzata e narrata, tramandata a voce. Così sono le protagoniste stesse a raccontarci le proprie storie, come se ci parlassero, e ascoltando le loro voci (che le famiglie vorrebbero soffocare) la storia diventa ancora più intensa, più coinvolgente e in qualche modo, personale.
Intervista ad Anilda Ibrahimi