Gore Vidal, in Memoir

Oggi è purtroppo scomparso Gore Vidal, romanziere americano scrittore del controverso e affascinante The City and the Pillar (1948), uscito in Italia con il titolo La colonna di sale nella traduzione eccellente di Alessandra Osti (tanto per capirci, la mente dietro alcuni titoli della collezione “Ottocento” di Repubblica, tra cui L’isola del tesoro di Stevens e David Copperfield).

Controverso perché La colonna di sale affronta un tema scomodo, immorale, addirittura tabù, per l’America degli anni Cinquanta, l’omosessualità. Affascinante perché lo fa in modo del tutto disinvolto e con il chiaro intento di dissociarsi dall’immagine stereotipata che degli omosessuali veniva perpetrata in quegli anni.

9788881121946

“Il loro rapporto sembrava promettente, con infinite possibilità di catastrofe” è la celebre frase con cui Vidal si riferisce all’amore segreto tra il protagonista Jim Willard, timido rampollo di buona famiglia e promessa sportiva, e il suo miglior amico, Bob Ford. La colonna del titolo fa riferimento a una citazione biblica “La moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale”, alludendo allo stato di inamovibilità in cui Jim si trova.

Vidal era solo un novellino quando scrisse il libro: 22 anni e due pubblicazioni alle spalle. Il New York Times si rifiutò non solo di recensire il libro, ma proprio di pubblicarlo. Life Magazine disse che Vidal aveva “gayzzato” la nazione. Ma il André Gide lo adorava. E il più grande, Thomas Mann, lo descrisse, nei suoi appunti, un’opera “nobile”.

Ed è quel qualcosa di personale che rende grande questo libro. E’ impossibile non accorgersene, si sente dietro ogni pagina. E’ l’amore per Jimmie Trimble, JT, il ragazzo che Vidal amò intensamente e poi perse nel corso della seconda guerra mondiale, “la mia metà”. 

Gore_vidal_2_shankbone_2009_nyc

 Non c’è dubbio che le vicende raccontate interessino Vidal in prima persona. Eppure il suo libro non è un’autobiografia. Tanto per cominciare, Vidal come ho detto non era famoso, e questa è la prima condizione esistenziale della biografia. Inoltre, la sua non era una storia che il mondo voleva ascoltare, anzi, il contrario. Piuttosto, si potrebbe parlare di memoir.

“A memoir is how one remembers one’s own life, while an authobiography is history, requiring research, dates, facts double-checked”. “Il memoir è il ricordo che uno ha della propria vita, mentre l’autobiografia è storia, che richiede ricerca, date e fatti sicuri.”, ha detto Vidal nel suo libro di memorie Palimpsest (1994).

Nel memoir il focus si sposta dalla verità dei fatti a quella delle emozioni, dalla realtà all’autenticità, a ciò che la mente del narratore costruisce attorno al ricordo, le connessioni chestabilisce, cosa ricorda e in che modo.

Il soggetto narrante del memoir non riveste alcun ruolo di rilievo all’interno della società di cui fa parte, anzi è confinato ai margini di essa. Scrivere la propria storia, una vita non eccellente e dunque apparentemente non interessante, è un modo di mettere in atto una resistenza alla società oppressiva, per rinegoziare la propria posizione all’interno di essa.
Non solo: chi scrive è parte di una collettività marginalizzata, e attraverso l’atto della scrittura il soggetto individuale diviene plurale, rientra in un progetto di legittimazione di questa collettività di cui fa parte ll’interno della società, e di una democratizzazione della società attraverso la letteratura.

D’altronde, come ha detto Brenda Daly, “Who has the authority to claim to speak “the truth” – or even “a truth”?”

Intervista a Gore Vidal – The Independent